mercoledì 22 maggio 2013

La ragazza con la valigia di cartone


La prima reazione che ottengo all'affermazione "Sono di Roma" è sempre "E che cosa ci fai qui a Sesto?" "Ci vivo" "Ah..." Segue sguardo di compatimento. E allora vallo a spiegare che no, non mi sono trasferita per volere di altri, ma per volere mio. Che sì, io davvero ci sto bene a Sesto, ma proprio tanto. Che no, non ho intenzione di tornare a Roma in futuro. Davvero? Davvero. E tutti giù a indagare: cosa spinge una giovine fanciulla piena di belle speranze a lasciare 'a capitale, er cuppolone, i bucatini e Totti (c'è solo un capitano, sia chiaro) e trasferirsi non già a Parigi, Londra, New York, Santo Domingo... ma a Sesto San Giovanni beach? Eh, mo' ve lo dico.

Correva l'anno 2006, tutti volevano bene a Fabio Grosso, Britney Spears non era ancora uscita di senno e i vecchi alla fermata dell'autobus parlavano di rigori e dei lavori sulla Prenestina, invece di ripetere a pappagallo "Sta la crisi". Nel 2006 non stava ancora, la crisi. I giovani (ah sì, ecco, nel 2006 ero giovane!) si sentivano padroni del mondo, sentivano che avrebbero potuto spaccare il culo ai passeri e fare qualunque cosa volessero. Illusi. Questa era l'aria che tirava. Io mi ero laureata l'anno prima e, non paga, stavo tentando di prendere la seconda laurea, pensate che cojona. Erano i bei tempi in cui per il ponte del primo maggio c'avevo sbatta di fare cose/vedere gente, o forse semplicemente c'avevo li zordi. Che facciamo? Le fave col pecorino non ci sono mai piaciute un granché, e allora sai che c'è? Se n'annamo a vedè Milano. Ma che c'andate a fa' a Milano, quelli c'hanno solo la nebbia. La cosa più bella de Milano è er treno pe tornà a Roma. Voi mette 'a carbonara col risotto giallo? (Dai su, che in fondo lo sappiamo che ci siamo sempre stati un po' sul culo: voi bauscia e fighe di legno, noi burini ignoranti con la canotta a coste sporca di sugo). E invece.


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E invece penso di essermi innamorata di Milano alla Stazione Centrale, proprio lì, appena scesa dal treno. E poi mi sono innamorata di più. E' come quando in un locale vedi un tizio carino, poi apre la bocca e scopri che è pure intelligente, e a fine serata hai già scelto il nome dei vostri tre figli. Ecco, tipo così. Per farla breve, conobbi dei ragazzi di Sesto, scoprii l’esistenza di Sesto; perché da Roma, con tutto l’affetto eh, anche un po’ chi se lo cagava Sesto San Giovanni (se io vi dico “C’hai presente Marziana?” voi mi dite “Cheeeeeeee???” Appunto). “Eh no, noi non siamo di Milano, siamo di Sesto. Sesto è altrove” “Cavoli, e siete venuti fin qui a Milano? Come avete fatto?” “Con la metro”. Ho gridato al miracolo quando ho scoperto che per arrivare in piazza Duomo ci avevano messo 20 minuti, roba che se devi andare da un quartiere all’altro di Roma dopo 20 minuti sei ancora fermo al primo semaforo preda di convulsioni perché la macchina davanti a te si è piazzata in diagonale sulla carreggiata, quello dietro continua a suonare e il proprietario del bar all’angolo è uscito per godersi la scena. Quei 3 giorni di ponte li passai a Milano, ma a me sta Sesto San Giovanni qui già piaceva un casino e non vedevo l’ora di andarci. 

Tornai a Roma con la maturata decisione di trasferirmi a Milano per cercare un lavoro, perché Milano stava più avanti, perché Milano non dorme mai, perché quelle cose che a Roma sogni a Milano c’erano già, perché a Milano c’è la moda vera e io ho sempre segretamente sognato di farcela nella moda vera, perché a Milano camminano alla mia stessa velocità invece a Roma sul marciapiede facevo slalom. Tornai a Roma, dicevo, e comunicai le mie intenzioni alla famiggghia: “Mi voglio trasferire a Milano per cercare un lavoro”. Reazione materna: “Brava, sempre detto che a una certa si deve uscire di casa perché altrimenti non ci si sveglia mai. Trovati una casa, trovati un lavoro e vai” (‘mazza sta avanti mia madre eh?) Reazione paterna: lacrime... “La mia bambina”... lacrime... “Di tutti i posti proprio a Milano”... lacrime. “Pa’, poteva andare peggio, potevo diventà laziale”. Ha smesso di piangere. Cominciai la disperata ricerca di una casa e ben presto capii che al prezzo di una stanza singola a Milano, ci prendevo un monolocale intero a Sesto. Capite bene che è stato facile scegliere dove andare. 

Selezionate un po’ di case su internet, sono andata di persona a vederle e ho capito subito una cosa: io a Sesto mi perdevo. Porca putrella se mi perdevo. La cosa che mi mandava più a male era il sottopasso del Rondò, lo facevo e non sapevo mai da che lato stavo “Oddio, hanno spostato il parrucchiere!” “Cretina, il parrucchiere è dall’altra parte della ferrovia” “Ah”. Nella ricerca sono sempre stata scortata da amici sestesi, tranne una volta, ma era facile. In teoria. Da piazzetta Trento e Trieste mi era stato chiesto di farmi trovare davanti all’oratorio di Via Baracca. Facile. Facilissimo. A due passi. A prova di scemo. Io non lo so che ho fatto, NON LO SO OK? Però ho girato tipo mezz’ora in preda al panico, e ogni volta che chiedevo a un passante “Scusi, sa dov’è l’oratorio?” quelli mi chiedevano quale oratorio cercassi. Ah perché mo’ mi volete dire che Sesto è talmente grande che c’è più di un oratorio? Ovviamente non sapevo il nome né dell’oratorio né della via e il panico cresceva. Finché vedo un volto noto - un ragazzo che mi avevano presentato la sera prima. Lo inseguo come la migliore delle stalker, lo agguanto e lo imploro di condurmi a destinazione. “Certo”, mi dice “è lì”. Ho girato l’angolo e c’era l’oratorio. Ma com’è possibile? So’ 40 minuti che giro come una deficiente e l’oratorio stava qua dietro? GOMBLOTTO GOMBLOTTO! BROGLI! Hanno spostato l’oratorio! Mi hanno assicurato che no, non l’avevano spostato, era sempre stato lì. Io però ancora ce l’ho qualche dubbio.

Una cretina a caso (mica so' io eh!)


E gnente, il 29 settembre 2006 - giorno che fu già significativo per l’Equipe 84 - con la mia valigia di cartone presi il treno e mi trasferii definitivamente. E se state qui a pensare che “valigia di cartone” sia un espediente letterario, mi duole informarvi che si rivelò essere proprio di cartone tanto che si sfondò appena la issai sul treno a Termini. Ora, immaginate di dovervi trasferire. Immaginate di essere una che si porta 4 paia di scarpe per star via un weekend. Immaginate una terrona carica di lana per affrontare il grande freddo del nord. Immaginate una valigia in cui dentro ci poteva stare comodamente un ragazzino delle medie. E la valigia si rompe. E il suo contenuto esplode. E con la valigia esplosa voi dovete scendere dal treno. Un ottimo inizio insomma. Dopo una settimana tra Milano e Sesto avevo capito una grande verità: non mi sapevo vestire. A Roma ero all'avanguardia, a Milano stavo 6 mesi indietro. Che débâcle, che smacco per il mio orgoglio. Ero povera e dovevo rifarmi il guardaroba, e non sapevo neanche da che parte cominciare. C'è voluto sudore e sangue, ci sono stati errori (tanti, troppi), ma alla fine ce l'ho fatta. 

Stay tuned per la prossima puntata che vi racconto cose che Enzo Miccio scansati proprio. Mica ve le vorrete perdere?

LaFedeC.

martedì 7 maggio 2013

Non solo crisi


Dicevamo? Ah sì, c’è crisi. 

Leggendo i giornali, ormai l’ottimismo impazza. No va be’, stavo scherzando, era così, per smorzare i toni e non cadere sempre nel solito vittimismo made in Italy. Quindi oggi basta, oggi ci autocelebriamo un po’! Così  che questo sia di coraggio e utile a chi ogni giorno è lì lì per mollare, per chiudere la sua attività. 
A noi, che ogni  giorno siamo  in contatto diretto con quella che mi piace definire realtà,la realtà  fatta di persone, non sempre dotate di menti eccelse - illuminati laureati e masterizzati che svolgono mansioni nascoste dietro a paroloni inglesi impronunciabili - la realtà che va dalla moglie del politico sestese, alla figlia con il papà in cassaintegrazione passando per la zia il cui nipote è tornato a vivere in casa dopo una triste e. economicamente parlando, dissanguante separazione.

Questa è la realtà di chi lavora in vetrina.
Ascoltare, ascoltare, ascoltare. Quindi bravi a noi, che pur non percependo alcuna parcella, ascoltiamo, ascoltiamo e ancora ascoltiamo le storie più assurde e le intimità più profonde di chi non si rende conto che siamo solo persone a cui non devi necessariamente raccontare tutto. E allorabravi a noi, che nella vita diciamo un sacco di parolacce, ma che quando dobbiamo tirare fuori quella giusta davanti a una cafonata subita da qualche maleducata impenitente, diventiamo inspiegabilmente Mahatma Gandhi e stiamo zitti a subire l’ennesima piccola ingiustizia quotidiana  fatta da qualche passante distratta che ti fa cadere un  quadro in negozio o che, incurante, lascia che il suo cane usi i nostri vasi esterni di fiori come pisciatoio naturale.
Bravi a noi, perché siamo quelli che abbelliscono le piazze arricchendole di servizi - non solo il semplice  negozietto di abbigliamento, ma noi tutti - con i bar, i ristoranti, le gelaterie, le librerie e i fiorai…  Dio, che belli i fiorai! Le ferramenta, che quando ancora  ne vedo una vorrei urlare al titolare: “Bravo! Tu sì che sei un figo, non come il signor Leroy Merlin. Sei tu che ce la fai ancora!”
 Quindi siamo noi a rendere un centro veramente storico, come un’agorà.
Fermati per un secondo a pensare se una mattina ti svegliassi e, durante il tuo tragitto quotidiano, vedessi tutte le serrande dei negozi chiuse. E se ovunque ti girassi trovassi solo un susseguirsi di Compro Oro, luci al neon accese in pieno giorno a pubblicizzare sale giochi e slot machine, mentre a pochi passi un’ammiccante massaggiatrice cinese che sembra uscita da un manga fa capolino su di un cartello di un centro massaggi rigorosamente blindato, da non sembrare neanche aperto al pubblico (?!). E proseguire con un alternarsi di ristoranti giappo low cost - ormai ci sono più ristoranti giappo che turisti giapponesi - tanto noi siamo un popolo di capre e i cinesi questo lo sanno bene, non distinguiamo neanche i cinesi dai giapponesi, e loro ci hanno fatto un business; per poi trovarti davanti il top del food: un’ illuminatissimo  distributore  di malattie batteriologiche di ogni tipo che troverai nel tramezzino che, con un paio di monetine, scivolerà dalla macchinetta per essere ingurgitato da un povero pazzo in chimicata paura alle 4 del mattino. E finirà che per trovare anche la più piccola cosa sarai costretto a fare 2 km ( rigorosamente in auto )  e andare al centro commerciale, dove ne uscirai pieno di sacchetti di cose inutili dimenticandoti invece di quell’unica di cui realmente necessitavi.
A noi, che nonostante tutto ci affezioniamo a voi alle vostre storie, alle vostre vite.
A noi, che il termine “commerciante” ci sta stretto e che, per l’esattezza, a me personalmente infastidisce.
Io sono qui: faccio un lavoro che mi piace ma che non è la mia vita, che negli anni ho imparato e insegnato a fare al meglio, e come me un sacco di altre persone. Aprite la finestra e vi accorgerete di quanto la vostra città si stia trasformando ad una rapidità tale da lasciare senza parole. Quindi oggi ci celebriamo come ogni giorno, perché per ogni attività che chiude ce ne sono molte che invece resistono. E, scusate il paradosso, ma oggi la medaglia d’oro alla resistenza in questa amata Sesto ce la meritiamo noi tutti!
In Fede   Romina Nicolò